Meet, Zoom, Classroom.. da marzo dello scorso anno a oggi queste parole, o meglio, queste (e altre) piattaforme digitali sono diventate di dominio pubblico e utilizzo collettivo.
Certamente dobbiamo ringraziarle, altrimenti i nostri bambini e i nostri ragazzi si sarebbero ritrovati non soltanto senza andare a scuola per quasi un anno, ma anche senza nessun impegno quotidiano legato allo studio e alla propria crescita e formazione culturale. Però fermiamoci qui per favore, non andiamo oltre.
Nel senso: utilissime, benedette, ci hanno permesso di “tamponare” nella migliore accezione del termine una situazione difficile, e probabilmente, mi spingo oltre -anche se non è affatto compito di chi scrive- è giusto continuare ad avvalerci di questi strumenti fin quando non saremo fuori dall’emergenza sanitaria che stiamo vivendo: ripartire in presenza per poi dopo due settimane richiudere tutto in modo ancora più stringente forse non è il caso; ma, come detto, non sono, fortunatamente, valutazioni e scelte che mi competono.
Da operatore del mondo e nel mondo della formazione, mi corre l’obbligo però, ma dovrei dire piuttosto che ne sento l’urgenza, di affermare con forza che, a Covid battuto, a nessuno venga in mente di proporre modelli ibridi in cui si alterni la modalità di frequenza con quella a distanza, o addirittura una prevalenza della seconda sulla prima. Non si può formare, cioè incidere, senza contatto umano. Questo vale nel rapporto formativo con gli adulti, figuriamoci con i più piccoli.
La dimensione dell’interazione umana all’interno dello stesso spazio fisico, la condivisione del luogo e del momento in compresenza fisica, il contatto e la relazione, perfino il fastidio delle urla che nessun tasto di disattivazione audio può spegnere, non possono e non devono essere sostituite, né oggi, né domani, né mai. Si possono sospendere come in questo caso per un’emergenza superiore, ma che a nessuno venga in mente di rivedere il paradigma formativo in presenza.
Se le aziende vorranno proseguire nella logica dello smart working, del lavoro a distanza, perché in questo modo si sono rese conto che possono aumentare produttività e profitti (almeno nel breve periodo), che facciano pure.. premesso che questo sarà possibile soltanto in alcuni settori, probabilmente in quelli che già prima della pandemia avevano sperimentato con discreto successo i benefici del lavoro da remoto, se il mercato e l’analisi costi/benefici daranno ragione all’imprenditore che lascerà lavorare i propri dipendenti da casa, che si muovano in tal senso (su questo tema del telelavoro in ogni caso ci torneremo con un articolo dedicato), ma la formazione no per Dio! Si perde quasi tutto provando a imparare da casa: la scuola e la formazione non servono soltanto per trasferire nozioni, ma per imparare a stare al mondo e nel mondo con gli altri.
E anche il passaggio dei concetti, quando sono coinvolti tutti i sensi, quando è coinvolto anche il fisico, quando si impara anche scambiando e interagendo con gli altri, è diverso: è un apprendimento più forte, più duraturo, più interiorizzato, più aperto nelle interpretazioni, nei punti di vista, perché in presenza ci si contamina meravigliosamente di più. A volte è anche un male, ma sicuramente non quanto lo sia il ribadirsi il nostro unico pensiero all’interno delle nostra mura domestiche.
E tralascio qui le innumerevoli fonti di distrazione che ci sono formandosi da casa, sia per adulti che per bambini; si obietterà che chi ha forti motivazioni non si lascerà distrarre, ed è pur vero, ma quanti di noi hanno imparato proprio a seguito di una motivazione che nasce strada facendo, o di un momento fortuito anche e soprattutto grazie al confronto e allo scambio con gli altri, colleghi o docenti che essi siano?. Non si può eliminare l’empatia dalla formazione, l’emozione da un concetto, uno sguardo da una parola; magari in un’aula un allievo si distrae, ma può essere richiamato e un minuto dopo imbattersi in una frase o un intervento che gli cambierà la vita, o semplicemente che lo costringerà o lo indurrà a riflettere.
Da casa, se quello stesso allievo mette la modalità “schermo nero” e indossa le cuffie per ascoltare l’ultimo pezzo di trap su Spotify, eviterà a priori che possa accadere quanto ho scritto sopra. Qualche giorno fa, in una rubrica su un quotidiano, Massimo Gramellini ha magnificamente scritto che uno dei mali più grandi che ha prodotto e sta producendo il Covid è quello di “averci tolto il caso”: se usciamo, sappiamo già chi incontreremo e chi no, perché una legge ci ha detto da chi e dove possiamo andare e chi incontrare. Questa necessità attuale non deve farci mai dimenticare quanto è importante e decisivo, per la vita e quindi anche per la formazione, che della vita è uno dei cibi più nutrienti, condividere, nel senso di vivere insieme fisicamente uno stesso momento, una stessa esperienza.
C’è un bagaglio di cose che si imparano in questa situazione che non potranno mai essere trasferite a una classe collegata da dietro lo schermo di un pc. C’è un’ “Università della Strada” nella formazione in presenza che nessun corso accademico online, anche il più quotato, riuscirà mai a trasferire.
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